sentenza

ABF Decisione n. 3260 Collegio di Roma del 16 Maggio2014

CIV

 

Punto di partenza di ogni ragionamento non può che essere rappresentato da un’indagine circa la funzione che va assegnata alla commissione di istruttoria veloce. Sul punto, tanto l’art. 117 bis, quanto il Decreto C.I.C.R. 30 giugno 2012, n. 644, appaiono chiari nel ricondurre la possibilità di applicare la commissione in parola all’espletamento di un’attività (l’istruttoria veloce) da parte della banca, finalizzata a consentire l’utilizzo di disponibilità oltre i limiti del fido accordato, ovvero in assenza di fido. Donde, può senz’altro affermarsene la natura remuneratoria, in ordine ad una specifica attività della banca, e non già una natura risarcitoria (posto, tra l’altro, che né lo scoperto, né lo sconfinamento, sono configurabili in termini di inadempimento del correntista, con il che non sarebbe comunque neppure ipotizzabile una ricostruzione dell’istituto in termini assimilabili alla clausola penale). Lo stretto collegamento tra tale attività e la legittima applicazione della commissione è peraltro confermato dalla relativa parametrazione ai costi, che la banca deve di volta in volta sostenere, ai fini di assumere la determinazione di consentire, o meno, l’utilizzo ultra o extra fido. Tanto premesso, ritiene quindi il Collegio che non possa che gravare sulla banca l’onere di dimostrare, anzitutto, di avere compiuto l’istruttoria veloce, per ogni singola applicazione della relativa commissione. Dimostrazione che, nel caso di specie, non è stata in alcun modo fornita. D’altra parte, la stessa lettura della disposizione contrattuale, come sopra già riportato (la commissione viene applicata al verificarsi “di ogni operazione di addebito sul conto corrente che, in sede di registrazione contabile, generi una situazione di mancanza di disponibilità di fondi del conto stesso”) ingenera il sospetto che, in realtà, e contro lo spirito e la lettera della legge, la banca resistente non abbia mai effettuato l’istruttoria veloce, ed abbia invece nei fatti considerato la CIV una sorta di equipollente di altre commissioni, variamente denominate (indennità di sconfinamento, penale per sconfino, etc.) invalse nella prassi bancaria in epoca antecedente all’introduzione dell’art. 117 bis T.U.B. (clausola su cui, peraltro, questo Arbitro ha già avuto molteplici occasioni di pronunziarsi negativamente, alla luce della disciplina previgente: v., tra le molte, Collegio di Roma 14 gennaio 2011, n. 108; Collegio di Roma 7 febbraio 2011, n. 264; Collegio di Milano 1° ottobre 2010, n. 1012; Collegio di Milano 19 maggio 2010, n. 393; Collegio di Roma, 6 settembre 2013, n. 4597). Invero, ad opinione del Collegio, la lettura complessiva dell’art. 117 bis (e della disciplina regolamentare applicativa) dovrebbe indurre a ritenere che le fattispecie dell’extra fido e dell’ultra fido vadano ormai considerate come complessivamente eccezionali; detto altrimenti, la nuova disciplina sembra marcatamente indirizzata (anche a fini di trasparenza) ad indurre le banche (beninteso, in alternativa alla richiesta di immediato rientro, ovvero al rifiuto di concedere ulteriore disponibilità, oltre quella già concessa) a concedere nuovi affidamenti, ovvero ad aumentare quelli eventualmente esistenti, e in ogni caso calibrare l’entità degli affidamenti sulle effettive esigenze del cliente, e non invece a mantenere in essere perduranti e sistematiche situazioni di scoperto (addirittura, come nel caso di specie, sin dal principio del rapporto), poi avvalendosi surrettiziamente di strumenti (quali la CIV), per incrementare il costo effettivo del credito, in un contesto di complessiva opacità, che peraltro non appare compatibile con un assetto di mercato realmente e lealmente concorrenziale tra intermediari creditizi. Né a ciò può replicarsi – come implicitamente ha replicato la banca – che, negando i sistematici utilizzi ultra fido, la banca avrebbe causato un pregiudizio maggiore al cliente (il quale si sarebbe visti protestati diversi assegni bancari, con conseguente probabile segnalazione in CAI e revoca di sistema). Trattasi, all’evidenza, di argomento del tutto inconferente sotto il profilo giuridico, specie alla luce del fatto che, come detto, il rapporto di apertura di credito era stato appena instaurato, in termini evidentemente insufficienti rispetto alle esigenze del cliente. Ne discende, dunque, l’illegittimità degli addebiti operati a titolo di CIV.