sentenza

Cassazione Civile, Sez III, n. 5609 del 7 Marzo2017

In merito alla pattuizione degli interessi, la Corte afferma che la pattuizione di interessi ultralegali è nulla se la relativa convenzione non è stipulata in forma scritta. La forma scritta è richiesta ad substantiam, ovvero a pena di nullità della pattuizione dell’interesse ultralegale.  La Suprema Corte chiarisce che “affinché una convenzione relativa agli interessi ultralegali sia validamente stipulata, deve avere forma scritta e contenere l’indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo predeterminato, ai sensi dell’art. 1284, terzo comma, cod. civ., che è norma imperativa. Tale condizione – che, nel regime anteriore all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154, poteva ritenersi soddisfatta anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse oggi può dirsi soddisfatta solo quando il tasso di interesse è desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante”; ne consegue  che la pattuizione di interessi ultralegali,  per essere valida non deve superare il tasso di usura (l’art. 1815, comma 3 c.c. stabilisce che “se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”) e deve rivestire la forma scritta, in mancanza della quale si devono applicare gli interessi nella misura legale (l’art. 1284, comma 3 c.c. prevede che “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”).

 

In merito alla validità o meno della prassi anatocistica, la Corte afferma l’invalidità della Delibera CICR 9/02/00 per i rapporti accesi precedentemente alla sua entrata in vigore.

La Corte osserva al riguardo che con sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del comma 3 dell’art. 25 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 , il quale “aveva fatto salva la validità e l’efficacia - fino all’entrata in vigore della delibera CICR  di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, le quali secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis)… Pertanto una volta dichiarata incostituzionale la disposizione retroattiva contenuta nel D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, per i contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della norma (19 ottobre 1999) la regola non è quella della libera praticabilità della capitalizzazione trimestrale, bensì quella opposta della nullità della relativa clausola”.

 

In merito alla CMS, sia nel caso in cui la commissione di massimo scoperto venga definita come “un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi, come potrebbe inferirsi anche dall'esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell'esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate e dalla sovente pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale o venga definita “come remunerazione dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo …. non è comunque dovuta la capitalizzazione trimestrale perchè, se la natura della commissione di massimo scoperto è assimilabile a quella degli interessi passivi, le clausole anatocistiche, pattuite nel regime anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, sono nulle … se invece è un corrispettivo autonomo dagli interessi, non è ad esso estensibile la disciplina dell'anatocismo, prevista dall'art. 1283 c.c., espressamente per gli interessi scaduti, e il relativo importo doveva essere conteggiato solamente alla chiusura definitiva del conto”.

 

La sentenza, nell’occuparsi di anatocismo della CMS, dopo aver richiamato la precedente Cassazione 11772 del 2002, è prevenuta a stabilire: ‘Pertanto, la decisione del giudice di merito, che ha ritenuto la nullità della clausola di commissione di massimo scoperto, facendo propri gli elaborati del c.t.u. che avevano epurato il saldo del conto corrente dall'incidenza di tale pattuizione, si sottrae a censure di legittimità.’. Mentre, con riguardo alla CMS, la Cassazione Civ. n. 12965/16 aveva, al contrario, ritenuto che la legge n. 2/09 ‘pur omettendo ogni definizione più puntuale della CMS, abbia effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alla censura di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa’.

Giudice D'Arrigo Cosimo

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