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La rilevanza giuridica del fido di fatto nelle azioni di accertamento negativo del credito

Sommario: 1. Chi è protetto dalla nullità di protezione?; 2. La prova dell’affidamento nel periodo antecedente l’introduzione dell’obbligo di forma scritta ad substantiam; 3. Forma scritta, piena ed attenuata, dell’affidamento in conto corrente; 4. Inesistenza del contratto di apertura di credito in conto corrente (o assenza di regolamentazione contrattuale aliunde). 5. L’idoneità della prova quale discrimine tra protezione offerta dalla nullità e “mera tolleranza”. 6. Lo spartiacque dell’affidamento tra rimesse ripristinatorie e solutorie: il limite del fido e l’onere di provarlo.

Gli autori concludono la propria pregevole analisi sostenendo che "una volta che sia stato compiutamente provata l’esistenza di un affidamento anche senza la scheda contrattuale, non può negarsi che le rimesse debbano necessariamente avere natura ripristinatoria: sostenere il contrario, equivarrebbe a negare l’esistenza di un affidamento di fatti già accertata.
Detto in altre parole, una volta provata l’esistenza della concessione di un affidamento, in assenza di elementi che attestino la massima somma disponibile, il limite può assumere, numericamente, soltanto due valori: o valore “zero” o valore “illimitato”; ora, però, data per certa l’esistenza di un affidamento, tale valore non può mai assumere valore “zero” perché ciò andrebbe a negare il fatto stesso – oggettivamente provato - della concessione dell’affidamento e quindi, necessariamente l’importo non può che assumersi come “illimitato”.
A quel punto, sarà onere di chi ne ha interesse (la banca) provare che esista un limite massimo consentito dalla banca a tale affidamento: diversamente, il limite massimo del fido di fatto non potrà che coincidere con la massima esposizione debitoria assunta in concreto per come documentata dagli estratti conto, con necessario riconoscimento della natura ripristinatoria di tutte le rimesse intercorse nel periodo.