Cassazione civile III sez. n. 27442 del 30 Ottobre2018
NEL MATERIALE CORRELATO A FONDO PAGINA E' DISPONIBILE UN PRIMO COMMENTO DEL DOTT. R. MARCELLI
In primo grado, la società che aveva stipulato un contratto di leasing aveva contestato la gratuità del finanziamento a fronte della previsione di un tasso di mora pattuito in misura superiore alla soglia d'usura, sostenendo la rilevanza della mora ai fini della verifica dell'usura e l'applicabilità dell'art. 1815 c.c. all'intero finanziamento (anche agli interessi corrispettivi). L'intermediario aveva resistito affermando la non applicabilità dell'art. 644 c.p. agli interessi moratori. Con sentenza n. 15315 del 23.12.2014 il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda, ritenendo l'art. 644 c.p. inapplicabile agli interessi moratori.
In appello, la Corte di Milano con sentenza n. 2232 del 6.06.2016 aveva rigettato il ricorso della società attrice sostenendo che:
a) gli interessi corrispettivi e quelli moratori sono “ontologicamente” disomogenei, poiché:
a’) i primi remunerano un capitale, i secondi costituiscono una sanzione convenzionale ed una coazione indiretta per dissuadere il debitore dall’inadempimento, e sono perciò assimilabili alla clausola penale;
a’’) i primi sono necessari, i secondi eventuali;
a’’’) i primi hanno una finalità di lucro, i secondi di risarcimento;
b) non esiste nessuna norma di legge che commini la nullità degli interessi moratori eccedenti il tasso soglia;
c) tanto si desume dalla circostanza che la rilevazione periodica, da parte del Ministero del Tesoro, degli interessi medi praticati dagli operatori finanziari viene effettuata trascurando quelli moratori;
d) sarebbe stato irrazionale, nel caso di specie, ritenere usurari interessi moratori al saggio dell’8,6%, laddove nella stessa epoca la legge contro i ritardi di nel pagamento delle transazioni commerciali tra imprenditori prevedeva, come interesse legale di mora, un saggio del 9,25%.
La Cassazione nella sentenza in commento ha invece affermato la assoggettabilità dell'interesse moratorio alla disciplina sull'usura ed in particolare alla verifica ex art. 644 c.p., motivando in modo preciso e circostanziato il perchè del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni della Corte d'Appello. Nel motivare, ha avuto modo, tra l'altro, di rigettare la tesi secondo cui la verifica dovrebbe essere condotta considerando per la soglia d'usura la maggiorazione media del 2,1% propugnata dall'ABI e della Banca d'Italia.
Dopo aver affermato l'indubbia assoggettabilità degli interessi moratori alla verifica richiesta dall'art. 644 c.p., tuttavia, la Cassazione ha aggiunto, al di fuori del thema decidendum, che agli interessi moratori non si applicherebbe la sanzione della non debenza ex art. 1815 c.c. II comma, in quanto la previsione normativa sarebbe specificatamente riferita ai soli interessi corrispettivi, dovendosi invece per gli interessi moratori usurari prevedere l'applicazione del tasso legale.
Si rileva, relativamente a quest'ultimo passaggio della sentenza, un contrasto con la precedente recente pronuncia delle Sezioni Unite Civili n. 24675 del 19.10.2017, che aveva esplicitamente riferito il concetto di interesse usurario alla sola definizione contenuta nell'art. 644 c.p. (che non distingue tra interesse corrispettivo e moratorio abbracciandoli quindi entrambi) e aveva esplicitamente osservato che l'art. 1815 c.c. presuppone "una nozione di interessi usurari definita altrove", ovvero nell'art. 644 c.p.
Qui alcuni passaggi rilevanti della sentenza:
Prosegue quindi la difesa dei ricorrenti sostenendo che la l. 7.3.1996 n. 108 (c.d. legge antiusura) non fa nessuna distinzione tra interessi moratori e corrispettivi; che pertanto anche i primi, come i secondi, possono essere qualificati come “usurari” se eccedenti il tasso soglia; che tale interpretazione sarebbe imposta, oltre che dalla lettera della legge, anche dalla sua ratio, ovvero prevenire i fenomeni usurari.
Corollario di tale interpretazione dovrebbe essere, secondo i ricorrenti, che nel caso di pattuizione di interessi moratori usurari il debitore non è tenuto al pagamento di alcun interesse, ai sensi dell’art. 1815, comma secondo, c.c., secondo cui “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
1.2. Il motivo è fondato.
Gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dall’art. 2, comma 4, l. 7.3.1996 n. 108, vanno qualificati ipso iure come usurari, con le conseguenze di cui si dirà più oltre.
Questo principio è già stato reiteratamente affermato sia da questa Corte in sede civile e penale, sia dalla Corte costituzionale
(...)
1.3. L’art. 2 l. 108/96, cit., vieta di pattuire interessi eccedenti la misura massima ivi prevista.
Questa norma s’applica sia agli interessi promessi a titolo di remunerazione d’un capitale o della dilazione d’un pagamento (interessi corrispettivi: art. 1282 c.c.), sia agli interessi dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori: art. 1224 c.c.).
Tale conclusione è l’unica consentita da tutti e quattro i tradizionali criteri di ermeneutica legale: l’interpretazione letterale, l’interpretazione sistematica, l’interpretazione finalistica e quella storica.
1.4. (A) L’interpretazione letterale.
Dal punto di vista dell’interpretazione letterale, nessuna delle norme che vietano la pattuizione di interessi usurari esclude dal suo ambito applicativo gli interessi usurari … La conclusione appena raggiunta è confermata dai lavori preparatori della l. 24/01 (che, come s’è detto, convertì in legge il d.l. 394/00, che a sua volta interpretò autenticamente l’art. 644 c.p.): nella relazione che accompagnò, nella XIII legislatura, l’esame in aula del d.d.l. n. S-4941 si legge, infatti, al § 4, che il decreto aveva lo scopo di chiarire come si dovesse valutare la usurarietà di qualunque tipo di tasso di interesse, “sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio”
(...)
1.5. (B)L’interpretazione sistematica
Interessi corrispettivi ed interessi convenzionali moratori sono ambedue soggetti al divieto di interessi usurari, perché ambedue costituiscono la remunerazione d’un capitale di cui il creditore non ha goduto: nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente …
Tanto gli interessi compensativi, quanto quelli convenzionali moratori ristorano dunque il differimento nel tempo del godimento d’un capitale: essi differiscono dunque nella fonte (solo il contratto nel primo caso, il contratto e la mora nel secondo) e nella decorrenza (immediata per i primi, differita ed eventuale per i secondi), ma non nella funzione
(...)
1.6. (C) L’interpretazione finalistica
Che gli interessi convenzionali moratori non sfuggano alle previsioni della della l. 108/96 è confermato dalla ratio di tale legge (…) La legge 108/96 ha introdotto un criterio oggettivo al duplice scopo di tutelare da un lato le vittime dell’usura, e dall’altro il superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche.
Escludere pertanto, dall’applicazione di quella legge il patto di interessi convenzionali moratori da un lato sarebbe incoerente con la finalità da essa perseguita; dall’altro condurrebbe al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento; per altro verso ancora potrebbe consentire pratiche fraudolente, come quella di fissare termini di adempimento brevissimi, per far scattare la mora e lucrare interessi non soggetti ad alcun limite.
1.7. (D) L’interpretazione storica
Che anche gli interessi convenzionali di mora soggiacciono alle previsioni dettate dalla legge antiusura è conclusione imposta da una millenaria evoluzione storica, dalla quale non può prescindere l’interprete che volesse degli istituti giuridici non già ritenere il vuoto nome, ma intenderne la vim ac potestatem.
L’analisi storica dell’istituto in esame conferma infatti che:
(a) gli interessi moratori sorsero per compensare il creditore dei perduti frutti del capitale non restituito, e quindi per riprodurre, sotto forma di risarcimento, la remunerazione del capitale; non è dunque storicamente vero che le due categorie di interessi siano “funzionalmente”differenti;
(b) l’opinione secondo cui gli interessi moratori avrebbero una funzione diversa da quelli corrispettivi sorse non per sottrarre gli interessi moratori alle leggi antiusura, ma per aggirare il divieto canonistico di pattuire interessi tout court;
(c) la presenza nel nostro codice civile di due diverse norme, l’una dedicata agli interessi moratori (art. 1224 c.c.) l’altra agli interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.) non si spiega con la distinzione tra le due categorie di interessi e non ne giustifica un diverso trattamento rispetto alle pratiche usurarie, ma è retaggio dell’unificazione del codice civile e di quello di commercio, che avevano risolto in termini diversi il problema della decorrenza degli effetti della mora.
La pretesa distinzione “ontologica e funzionale” tra le due categorie di interessi non solo è dunque un falso storico, ma sorse e si affermò per circoscritti e non più attuali fini. Tale inesistente distinzione “funzionale” non giustifica affatto la pretesa che gli interessi moratori sfuggano all’applicazione della l. 108/96
(…)
1.10. Il primo motivo di ricorso, come anticipato, deve dunque essere accolto, e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d‘appello di Milano, la quale nel riesaminare il gravame proposto dalla società applicherà il seguente principio di diritto:
“è nullo il patto col quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della l. 7.3.1996 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali”…
il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 l. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia
(…)
nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale.
Testo della sentenza(5.8 M)
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