Cassazione Civile Sez. III, Ordinanza n. 25158 del 10 Novembre2020
Si legge nell'Ordinanza:
In merito all'odine di esibizione ex art. 210 c.p.c.:
"Le doglianze della società correntista sono intese a colpire le statuizioni della sentenza non definitiva emessa in secondo grado là dove, accogliendo il secondo motivo di appello della Banca, ha limitato l'indagine sull'effetto dell'anatocismo applicato ai documenti bancari prodotti tempestivamente dalla società correntista, non estendendola invece a quelli acquisiti mediante ordine di esibizione disposto dal giudice ex art. 210 cod. proc. civ., ricevuti ed esaminati dal CTU. In particolare il giudice di secondo grado ha rilevato la mancanza dei
presupposti per l'emissione dell'ordinanza di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ., assumendo che essa non poteva supplire all'onere probatorio gravante sulla società correntista, censurando -quindi - l'autorizzazione conferita allo stesso CTU, nel corso della consulenza, ad acquisire ulteriori documenti.
Tanto premesso, i motivi di ricorso presuppongono la soluzione di un'unica centrale questione: se possa ritenersi ammissibile l'acquisizione di documentazione nuova in sede di CTU, per il tramite di un'ordinanza di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. emessa in accoglimento di istanza di parte, avanzata entro i termini preclusivi ex art. 184 cod. proc. civ, quandanche la parte non si sia avvalsa della facoltà insita nell'art. 119 TUB di chiedere alla banca la documentazione afferente al rapporto bancario.
Sotto il profilo della ammissione della istanza di esibizione deve rilevarsi che la sentenza in esame non risulta conforme a un principio da ultimo affermato da questa Corte in tema di interpretazione dell'art. 119 TUB, in base al quale «il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell'art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell'esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all'art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante» (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 3875 del 08/02/2019; Sez. 1. 13277 del 2018 Rv. 649155 - 01; Sez. 1 - , Sentenza n. 11554 del 11/05/2017). Difatti, il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi dell'art. 119, comma 4, TUB (d.lgs. n. 385 del 1993), anche in corso di causa ed attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo. Tale principio si pone a conferma di un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, peraltro riportata dal ricorrente.
In materia va ricordato, prima di tutto, che il diritto del cliente ad avere copia della documentazione ha natura sostanziale e non meramente processuale e la sua tutela si configura come situazione giuridica "finale", e non puramente strumentale. Non trovano pertanto applicazione, nella fattispecie, i principi elaborati dalla giurisprudenza in ordine di esibizione dei documenti ex art. 210 cod. proc. civ. e, dunque, non può pertanto negarsi il diritto del cliente di ottenere copia della documentazione richiesta, adducendo a ragione e in linea di principio la natura meramente esplorativa dell'istanza in tal senso presentata (Cass. n. 11004/2006).
Da rilevare è, inoltre, che la «norma del comma 4 dell'art. 119 T.U.B. non contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito. D'altra parte, non risulta ipotizzabile una ragione che, per un verso o per altro, possa giustificare, o anche solo comportare, un simile risultato."
In merito alla prescrizione:
"Con un unico mezzo di ricorso incidentale l'istituto di credito resistente lamenta la violazione - ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. - degli artt. 2697 e 2946 cod. civ., per avere la Corte d'Appello rigettato il primo motivo di appello dell'istituto di credito inerente all'eccezione di prescrizione relativa a tutti gli addebiti eseguiti sul conto corrente per interessi in epoca anteriore al decennio della notifica dell'atto di citazione della società attrice, sull'assunto che le rimesse non avessero carattere ripristinatorio, ma solutorio, in ciò richiamando la distinzione resa dalle SSUU, con sentenza n. 24418/2010, ai fini della decorrenza della prescrizione. Assume difatti l'istituto che la parte attrice non avrebbe dato prova dell'avvenuta stipulazione tra le parti del contratto di apertura di credito e il relativo affidamento, rimasto del tuto incerto nel quantum.
Il motivo è infondato.
Sul punto deve innanzitutto darsi atto che è intervenuta una pronuncia delle SU della cassazione, sentenza n. 15895/2019 del 13 giugno 2019, con la quale si è sancito che in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte. Pertanto, sulla base di tale principio, la qualificazione delle rimesse del conto (solutorie o ripristinatorie) ai fini della decorrenza del termine di prescrizione è rimessa alla valutazione del giudice che si può, in questo, giovare dell'opera di un CTU ad hoc nominato.
Tuttavia è utile precisare che, nel caso specifico, sarebbe spettato alla banca, e non al correntista, provare che il contratto bancario rientra in quelle ipotesi in cui si pone una questione di distinzione tra poste ripristinatorie e solutorie, come nel contratto di conto corrente ove sono ammesse operazioni allo scoperto. Difatti, come insegna questa Corte, i versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all'accipiens (Cass. n.4518/2014; Cass n. 20933 del 2017; Cass. n. 12977 del 2018).
Dunque, a fronte dell'eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell'indebito proposta dal correntista, il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l'esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un'eccezione in senso lato e non in senso stretto (Sez. 1 - , Ordinanza n. 31927 del 06/12/2019). In tale caso, difatti, le poste hanno normalmente funzione ripristinatoria e non solutoria.
In altri termini, è piuttosto la banca tenuta a provare che, a livello contrattuale, non si ricade in una ipotesi di affidamento che, nella tecnica bancaria, esclude la presenza di operazioni allo scoperto, e ciò a supporto della eccezione di prescrizione sollevata in relazione a pagamenti di poste solutorie del conto corrente.
Testo della sentenza(703 K)