sentenza

Tribunale di Mantova del 11 Giugno2014

Prescrizione – eccezione di prescrizione – onere della prova dell’assenza di rimesse solutorie (e quindi la prova del fido) ricade sul correntista

Si deve ritenere che la banca adempie al proprio onere di prova dell’eccezione allegando e deducendo il decorso del termine decennale, spettando invece al correntista l’onere di provare il carattere ripristinatorio della rimessa: non si può obbligare la Banca ad una prova “del tutto negativa” quale “l’assenza del fido”. Ciò nonostante l’orientamento contrario espresso dalla Cassazione 4518/14 per cui bisognerebbe presumere la natura ripristinatoria delle rimesse, salvo prova contraria da parte della Banca.

Poiché il conto XXX risulta aperto nel 1996, parte convenuta ha tempestivamente eccepito la prescrizione decennale delle rimesse operate sul conto in epoca precedente il decennio anteriore alla domanda. A tale eccezione è stato risposto che, ai sensi dell'orientamento adottato da Cass. Sez. Unite 24418 del 2010, poiché la decorrenza del decennio dipende dalla natura solutoria dei pagamenti, ai sensi dell'art. 2697 c.c. tale prova incomberebbe su parte convenuta. Come si vedrà la rilevanza di tale questione è modesta nel procedimento presente ma risulta comunque necessario analizzare il problema anche atteso il contrasto tra le parti sul punto. È noto che la maggior parte dei giudici di merito che si sono occupati della questione ha condiviso l'impostazione attorea e che vi è stato anche un arresto di legittimità in tal senso (Cass. 26 febbraio 2014 n. 4518). Tuttavia questo giudice, come anche gli altri appartenenti alla stessa sezione, ritengono che la tesi sostenuta non sia convincente in quanto basata su presunzioni non provate o comunque bisognosa di approfondimenti. Se infatti non vi è dubbio che ai sensi dell'art. 2697/2 c.c. l'eccipiente deve provare i fatti su cui la sua eccezione d'estinzione si fonda, non vi è altresì dubbio che in relazione all'azione di ripetizione d'indebito, quale quella in sostanza effettuata da parte attrice quantomeno con riferimento agli addebiti che sarebbero travolti dalla nullità dei rapporti, si applichi il termine di prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 cc. La tesi attorea comporta quindi che parte convenuta, oltre a far rilevare il decorso del termine, dovrebbe provare e indicare la natura solutoria di ogni singola rimessa o, in altre parole, provare l'assenza di quelle ragioni che impedirebbero il decorso della prescrizione. Poiché la pronuncia a sezioni unite citata distingue il decorso della prescrizione, dalle singole rimesse o dalla chiusura del conto, a seconda della natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse medesime, seguendo l'impostazione attorea la banca sarebbe onerata della prova di assenza di tale ultima natura ripristinatoria o, in altre parole, dell'assenza di affidamenti o comunque di aperture di credito che la determinino.

Va ricordata la sentenza di legittimità 4518/14 che, asserendo anch'essa come in sostanza la solutorietà delle rimesse debba essere provata da cui intende farvi decorrere la prescrizione, fonda la sua convinzione sull'affermazione secondo cui le rimesse in un conto corrente “hanno normalmente funzione ripristinatoria”. Ne deriva che la I sezione, senza minimamente entrare nell'annoso problema della natura del contratto di conto corrente, ritiene ad essa connaturata la presenza di affidamenti al punto da stabilire una presunzione iuris tantum di ripristinatorietà ex art. 2727/2729 c.c. fondata non si sa bene su quale fatto, norma o principio. È appena il caso di ricordare che ove un conto corrente presenti sempre saldi attivi parrebbe esclusa ogni ripristinatorietà delle rimesse e ogni presunzione relativa.

 

Nell’ambito dell’azione di ripetizione del cliente di indebiti pagamenti fatti alla banca, la tesi di Cass. SS.UU. n.24418/2010 (che distingue il correre della prescrizione a seconda si tratti di rimessa intrafido o extrafido, per quest’ultima eventualità muovendo la stessa dal versamento e non dalla chiusura del conto) comporta che la banca debba provare la natura solutoria di ogni rimessa. Tale tesi va respinta perché “così facendo si impone alla banca una prova che è del tutto negativa”, consistente appunto nella “prova dell’assenza del fido”. Pertanto, si deve ritenere che la “banca adempie al proprio onere di prova dell’eccezione allegando e deducendo il decorso del termine decennale”, spettando invece al correntista l’onere del carattere ripristinatorio della rimessa.