sentenza

Tribunale di Mantova del 20 Marzo2012

Conto corrente – Delibera CICR 9/02/00 – necessità di sottoscrizione della clausola anatocistica – CMS – nullità per indeterminatezza

L’introduzione della pari periodicità di capitalizzazione richiesta dalla Delibera CICR 9/02/00 configura un peggioramento delle condizioni economiche e pertanto per essere considerata legittima deve essere espressamente sottoscritta dalle parti per iscritto. In assenza si sottoscrizione, permane il divieto di anatocismo e quindi la necessità di ricalcolare il conto corrente in regime di capitalizzazione semplice fino alla data di una valida pattuizione scritta del nuovo regime.

Per quanto concerne la CMS, la cui natura risulta oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza, la clausola che ne pattuisce l’applicazione deve avere il requisito della determinatezza: non è sufficiente la mera indicazione di un’aliquota percentuale accompagnata dalla dizione “commissione di massimo scoperto”.

 

Va disattesa la tesi sostenuta dalla convenuta, di legittima applicazione della capitalizzazione degli interessi debitori a far data dal 30.6.2000, data in cui si sarebbe conformata alle prescrizioni della citata delibera, rendendo trimestrale la periodicità della capitalizzazione sia degli interessi creditori che debitori, mediante pubblicazione sulla G.U. della modifica in tal senso dell’art. 7 delle norme contrattuali.

Le disposizioni transitorie di cui all’art. 7, comma 2 della citata delibera prevedono infatti un’apposita approvazione da parte della clientela delle nuove condizioni contrattuali da adeguare alle disposizioni della delibera, con riferimento ai contratti in corso, qualora le stesse comportino “un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate”, ipotesi che si verifica a fronte della previsione di una capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, in precedenza non dovuta (stante la nullità della relativa clausola contrattuale), e del diverso importo degli interessi creditori e debitori ( questi ultimi determinati in misura assai superiore ai primi).

E’ dal pari fondata, sia in relazione al contratto di apertura di conto corrente che al successivo “contratto di adesione al conto imprese...”, la domanda declaratoria di nullità della clausola prevedente l’applicazione di una c.d. “commissione di massimo scoperto”, così formulata nel contratto 9.12.06: “ commissione trim. di massimo scoperto: 0,250% e “Comm.ne massimo scoperto: dec. 1.04.03 aliquota 0.7200% (aliquota agg.va 1,2800% su sconfinamento se autorizzato nel contratto 10.06.2003)”

La commissione di massimo scoperto integrava istituto che non trovava, neppure nei manuali in materia bancaria, una chiara definizione ed una certa individuazione sotto il profilo causale.

Accedendo ad un contratto di apertura di credito, sul piano economico, secondo una prima interpretazione, tale commissione avrebbe potuto costituire la remunerazione spettante alla banca per la messa a disposizione in favore del cliente di determinati fondi, per un certo lasso di tempo, a prescindere dalla loro concreta utilizzazione; in tale ipotesi la stessa avrebbe quindi dovuto calcolarsi sull’importo utilizzato; secondo altra interpretazione , invece, la CMS costituiva la controprestazione per il rischio crescente che la banca assumeva in proporzione all’ammontare dell’utilizzo concreto dei fondi messi a disposizione, da calcolarsi sul massimo importo utilizzato in un determinato periodo, secondo una terza interpretazione la commissione era un accessorio che si aggiungeva agli interessi passivi.

La corte di Cassazione Civile, in una prima pronuncia in merito, sembrava aver ritenuto preferibile la prima delle interpretazioni proposte (v. Cass. Civ. 11772/2002).

Gli istituti di credito non ne facevano però una simile applicazione, calcolandola solitamente sull’importo utilizzato, e non su quello messo a disposizione del cliente, ma fatto che più rileva, in tale calcolo non veniva seguita una prassi uniforme, tale da attribuire un significato univoco alla clausola; a volte il calcolo veniva effettuato sul massimo saldo dare di un determinato periodo, oltre il fido concesso; a volte sia sull’importo affidato che, una seconda volta, sul massimo saldo dare extra fido; a volte sull’importo massimo che rientrasse in una ininterrotta situazione debitoria di durata superiore ad un periodo del pari variamente determinato.

Se si ritiene che l’obbligazione del cliente di corrispondere alla banca ulteriore compenso, per l’apertura di credito, oltre alla misura degli interessi pattuiti, possa essere sorretta da causa lecita, in quanto, appunto, remunerazione correlata all’obbligo, a carico della banca, di tenere sempre a disposizione del cliente il massimo importo affidato, o in quanto correlata al rischio crescente che la banca assume, in proporzione all’ammontare dell’utilizzo del concreto di detto credito da parte del cliente, nel contratto dovrà essere espressamente specificato che si tratta di una commissione applicata sul finanziamento concesso, o su quello utilizzato, e dovrà esserne indicata la misura, la modalità e la periodicità di calcolo, costo che non potrebbe rientrare nella semplice dizione “ commissione massimo scoperto”.

Deve quindi affermarsi che la CMS contenuta ne contratti bancari stipulati in data antecedente al d.l. n. 185/08, può ritenersi lecita e valida solo se nella relativa clausola sia espressamente indicato (stante il suo significato non univoco nella pratica) se si tratti di costo ulteriore, relativo ad apertura di credito, o se commissione applicata sullo scoperto di conto, oltre l’affidato, con indicazione quindi del dato di riferimento per l’applicazione della percentuale riportata in contratto e della periodicità della sua applicazione.

Nel contratto 9.12.96 la c.m.s., qualificata come trimestrale, è indicata solo con una percentuale, senza specificazione degli importi su cui avrebbe dovuto essere applicata, nel contratto 10.06.03 le commissioni sembrerebbero due, relative ad ipotesi diverse (essendo prevista una secondo aliquota “ su sconfinamento se autorizzato”, espressione peraltro non comprensibile, potendo l’utilizzo di somme da parte del cliente o essere “autorizzato”, perché compreso nell’affidamento, o essere effettuato oltre l’accordato e quindi su scoperto di conto), ipotesi comunque non specificate, né nel loro contenuto, né in ordine alla periodicità di calcolo.

Entrambe le clausole sono quindi nulle, con conseguente diritto della correntista di ripetere gli importi corrisposti a tale titolo o di veder depurato il conto dagli addebiti relativi.

Giudice Alessandra Venturini