Tribunale di Massa del 21 Dicembre2017
L’esercizio dell’azione di ripetizione del correntista non presuppone necessariamente la produzione di tutti gli estratti conto integrali del rapporto, ben potendosi disporre CTU contabile anche in presenza di lacune documentali.
E dell’ipotesi che non risultino prodotti tutti gli estratti conto, ciò non consente, di per sé, di negare l’accesso alla C.T.U., non potendosi comunque escludere che l’ausiliario dell’Ufficio possa, attraverso la consultazione di quelli disponibili, ricostruire comunque l’evoluzione contabile del conto corrente e rapportarla a quella che dovrebbe risultare attraverso l’applicazione della disciplina contrattuale e legale.
La mancata produzione del contratto scritto recante la pattuizione dei tassi d’interesse rende applicabili i tassi legali ex art. 1284 c.c. e non i tassi BOT ex art. 117 TUB
Si ravvisa l’applicabilità del disposto imperativo di cui all’art. 1284, comma 3 c.c., che regola invece la specifica ipotesi – che, a ben vedere, piuttosto ricorre nella fattispecie concreta - in cui la banca proceda ad applicare interessi ad un tasso ultralegale in carenza della relativa necessaria stipulazione in forma scritta ad substantiam del contratto di conto corrente (cfr. Cass. n. 11466/2008, Trib. Torino, n. 450/2010, Trib. Lecce, 16.12.2009, App. Napoli, n. 1514/2008).
Per i contratti accesi prima dell’entrata in vigore della Delibera CICR 9/02/00, l’adeguamento alla pari periodicità trimestrale previsto dalla Delibera richiede necessariamente la specifica approvazione scritta del correntista, per un duplice motivo: da un lato, l’adeguamento è da considerarsi peggiorativo rispetto alla preesistente situazione di diritto, dall’altro, è da rilevarsi la carenza di delega del CICR a normare i rapporti preesistenti, essendo, a seguito della sentenza n. 425/2000 della Corte Costituzionale venuto meno l'art. 25 comma 3 del D.Lgs. n. 342/1999, che costituiva il fondamento legittimante la disciplina transitoria posta dall’art. 7 della delibera C.I.C..R.
Con riguardo al presupposto della necessaria approvazione delle nuove condizioni, a fronte del carattere peggiorativo del trattamento riservato alla clientela per effetto dell’adeguamento alla disciplina posta dalla succitata delibera C.I.C.R. del 9.2.2000, pare conforme a giustizia ritenere che il giudizio comparativo non possa essere condotto in via formale tra le vecchie e le nuove clausole, bensì - trattandosi di norma evidentemente posta a tutela del cliente - tra gli effetti concreti che, rispetto a quanto accadeva in precedenza, esse determinino per il correntista e ciò anche – e soprattutto – in riferimento alle conseguenze. In primo luogo, considerato che anteriormente alla delibera del C.I.C.R. le clausole che prevedevano la capitalizzazione degli interessi erano nulle, per quanto già chiarito, è evidente che ogni successiva previsione che, legittimando in sostanza la pratica anatocistica (pur introdotta in modo conforme alle disposizioni del C.I.C.R.) sia da considerarsi nuova e non semplice adeguamento di una clausola precedente. Tenuto conto, poi, che, nel caso in esame, la correntista era pressoché costantemente a debito, per quanto si evince dall’esame degli estratti conto prodotti, la previsione di una capitalizzazione trimestrale (anche se bilaterale) deve ritenersi sicuramente peggiorativa, determinando effetti negativi per la medesima correntista (consistenti nell’aumento dell'esposizione debitoria complessiva). Rispetto alla situazione precedente, in cui quest’ultima non sarebbe stata tenuta a corrispondere alcun interesse sugli interessi (per nullità della relativa pattuizione contrattuale, nel caso in questione, peraltro, neanche risultante in forma scritta), l'introduzione di una clausola di capitalizzazione (sebbene rispondente ai requisiti previsti dalla citata delibera C.I.C.R.) non può che considerarsi peggiorativa per la cliente. In definitiva, le nuove condizioni della capitalizzazione degli interessi avrebbero dovuto essere approvate espressamente dall’attrice, ciò che nel caso in esame non risulta essere avvenuto
(…)
In altri termini, a seguito della sentenza n. 425/2000 della Corte Costituzionale è venuto meno l'art. 25 comma 3 del D.Lgs. n. 342/1999, che costituiva il fondamento legittimante la disciplina transitoria posta dall’art. 7 della delibera C.I.C..R.; ragion per cui tale ultima previsione, quale atto di normazione secondaria attuativo di una norma di rango legislativo non più esistente perché dichiarata incostituzionale, ha perso ogni validità ed efficacia (cfr. Trib. Mondovì, 17.02.2009, Trib. Piacenza 27.10.2014, Trib. Massa, 12.10.2012).
Siffatta ricostruzione, del resto, pare l’unica compatibile con il diritto vivente costituito dall'orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, secondo il quale, a seguito della richiamata pronuncia n. 425/2000 della Consulta, le clausole anatocistiche già stipulate ricadono, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il divieto di cui all'art. 1283 c.c. e di conseguenza sono nulle (cfr. Cass. n. 4490/2002, Id. n. 21095/2004. n. 11466/2008).
Nell’ambito della verifica dell’usura, la parte che contesta la violazione della legge 108/96 non ha l’obbligo di produrre i D.M. di fissazione delle soglie d’usura, che devono essere ritenuti atti di normazione secondaria integrativi del precetto penale di cui all’art. 644 c.p., essendo stata tale disposizione configurata dal Legislatore come norma penale (parzialmente) in bianco
Non pare condivisibile il principio recepito in alcune pronunce giurisprudenziali in proposito richiamato dalla difesa della banca a sostegno del proprio assunto, secondo cui, nell’ipotesi in cui la parte che agisca al fine di accertare la violazione della disciplina antiusura non assolva l’onere di allegare e depositare in giudizio i predetti D.M. non sarebbe consentito dare ingresso a C.T.U. contabile, né, comunque, accogliere la stessa domanda, trattandosi di meri atti amministrativi, non costituenti fonti del diritto; ciò che non consentirebbe, al riguardo, l’operatività del principio iura novit curia posto dall’art. 113 c.p.c., disposizione da leggere applicare con riferimento all’art. 1 delle disposizioni preliminari del codice civile, che, nell’indicare le fonti del diritto, non reca menzione degli atti amministrativi. A tale indirizzo vanno ricondotte talune pronunce di merito (cfr. Trib. Mantova, 29.05.2012, Id. 13.10.2015, Trib. Busto Arsizio 20.05.2017, Trib. Napoli, 17.06.2014, Trib. Latina 28.08.2013, Trib. Nola 09.01.2014) ed un unico, ormai non certo recente, arresto della Corte di Cassazione, costituito dalla sentenza n. 8742/2001 (inerente, per l’appunto, ai D.M. ex art. 2 della L. n. 108/1996)
Ad avviso di questo Giudice, risulta ben più aderente alla natura giuridica dei D.M. previsti dall’art. 2 della L. n. 108/1996 il diverso orientamento giurisprudenziale che qualifica gli stessi come atti di normazione secondaria integrativi del precetto penale di cui all’art. 644 c.p., essendo stata tale disposizione configurata dal Legislatore come norma penale (parzialmente) in bianco (cfr. Trib. Lecce 15.12.2015, Trib. Rimini 3.3.2016). L’accertamento dell’illecito usurario, infatti, per espressa voluntas legis, implica il raffronto tra il tasso di interesse di pertinenza dei singoli rapporti contrattuali (da calcolare in base al criterio omnicomprensivo stabilito dall’art. 644, comma 3 c.p.) ed i tassi soglia determinati attraverso una maggiorazione prevista dal Legislatore ai sensi del comma 4 dell’art. 2 della citata L. n. 108/1996 (attualmente pari al 25% + 4 punti percentuali) del tasso soglia globale medio rilevato trimestralmente dal Ministero del Tesoro (attualmente Ministero dell’Economia e delle Finanze), cd. T.E.G.M., in relazione alle varie categorie omogene di operazioni creditizie e finanziarie; tassi, questi ultimi, che, previa correzione in base ad eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto, vengono riportati in decreti ministeriali pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, secondo quanto disposto dallo stesso citato art. 2 della L. n. 108/1996.
Il rispetto della legge 108/96 in tema di usura deve essere condotto applicando l’ordinaria formula del tasso d’interesse, conforme al disposto di cui all’art. 644, comma IV c.p., disposizione di legge ai sensi della quale “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazione a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”.
In particolare devono essere considerati i numeri debitori rettificati per effetto dell’espunzione dell’effetto anatocistico conseguente alla suindicata capitalizzazione trimestrale e degli addebiti a titolo di interessi ultralegali, commissioni e spese non pattuite nella necessaria forma scritta.
In presenza di apertura di credito che assista un rapporto di conto corrente bancario, la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta, ed è onere della Banca che eccepisca la prescrizione individuare specificatamente le rimesse aventi natura ripristinatoria.
L’eccezione di prescrizione risulta, così come formulata, inammissibile, attesa la sua genericità, in difetto di specifica menzione delle rimesse asseritamente di natura solutoria, avendo la Corte regolatrice chiarito che, in presenza di apertura di credito che assista un rapporto di conto corrente bancario (deve ragionevolmente ritenersi pur in difetto di formalizzazione per iscritto dell’accordo sottostante), “la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta; sicché spetta alla banca, che eccepisce la prescrizione del diritto del correntista di ripetizione delle somme addebitate in conto corrente, allegare e provare le rimesse aventi, invece, natura solutoria”; con la conseguenza che, in caso di mancata specifica menzione delle rimesse solutorie da parte della banca, il Giudice non può supplire all’omesso assolvimento da parte della banca di siffatto onere di specifica allegazione, il Giudice non può supplire all'omesso assolvimento di tale onere, individuando d'ufficio i versamenti solutori (cfr. Cass., Ord. n. 20933 del 07.09.2017, conf. Id. n. 4518/2014).
L’apertura di credito può attuarsi per facta concludentia, rilevabile pertanto mediante la compresenza di indici rilevatori della stabilità e non occasionalità dell’esposizione a debito
Come noto, in base al disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l'apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli. Nel caso in esame, indici rivelatori dell’esistenza di affidamenti di fatto (non pattuiti per iscritto) concessi da Beta s.p.a. alla correntista sono costituiti: dall’avere la banca consentito alla medesima cliente di usufruire di fatto di uno scoperto di conto corrente, in modo pressoché costante; dalla previsione negli estratti conto di commissioni di massimo scoperto, che, come noto, rappresentano il corrispettivo del servizio di messa a disposizione del cliente della somma accordata e che in tanto hanno ragione di essere applicate in quanto la banca tratti e qualifichi il conto corrente come, per l’appunto, assistito da un fido e non come “in rosso”; dall’indicazione negli stessi estratti di conto di tassi debitori ordinari, senza alcun richiamo e distinzione di tassi extrafido, che presupporrebbero un’utilizzazione dell’apertura di credito oltre un limite prestabilito dalla banca; dall’assenza di tracce di rientro della correntista; nonché, in generale, dall’evidente stabilità e non occasionalità dell’esposizione a debito a carico di quest’ultima, rappresentata dai relativi estratti conto e dall’entità del passivo in essi indicato; elemento di valutazione, quest’ultimo, che consente di per sè di desumere la concessione di affidamenti giuridicamente rilevanti in favore della cliente (per quanto non concordati in forma scritta), situazione ben diversa da quella di mera ipotetica tolleranza da parte della banca, da ravvisare, invece, qualora essa si limiti a consentire che il correntista sconfini senza chiedere l’immediato rientro, ma senza, al tempo stesso, neanche impegnarsi (né formalmente né tacitamente) a garantire allo stesso il mantenimento della disponibilità.
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