sentenza

Tribunale di Massa n. 797 del 13 Novembre2018

Le espressioni “ammortamento alla francese” o “a rata costante” o “a capitale crescente e interessi decrescenti” non valgono ad esplicitare le modalità di funzionamento del piano, ai fini del controllo di legalità, in difetto di specificazione del regime finanziario e del criterio di calcolo degli interessi.

Il regime finanziario della capitalizzazione composta, adottato nella quasi totalità dei mutui predisposti con ammortamento alla francese concessi dagli istituti di credito, prevede l’attualizzazione dei flussi finanziari sulla base di una funzione di matematica esponenziale ed è caratterizzato da leggi finanziarie dotati della proprietà della scindibilità (a differenza di quello della capitalizzazione semplice, fondato su leggi additive), in forza delle quali la sua adozione comporta necessariamente (fatta eccezione per le ipotesi di scuola di mutuo uniperiodale o di pattuizione di tasso d’interesse nullo, in concreto non configurabili nella casistica giudiziaria) un effetto anatocistico, in virtù della produzione di interessi su interessi precedentemente maturati; e ciò in quanto, per effetto dell’applicazione di tale regime, gli interessi precedentemente maturati, a causa della loro capitalizzazione nel debito residuo, sono causa di ulteriori interessi.

Deve ritenersi che il divieto di anatocismo non attenga esclusivamente all’accordo preventivo che preveda direttamente la produzione di interessi su interessi, ma altresì a quelli - anch’essi in ipotesi riconducibili al momento genetico contratto (e quindi integranti una convenzione, ai sensi dell’art. 1283 c.c.) – che producano comunque, sotto il profilo economico, il medesimo effetto della produzione di interessi su interessi. Ciò che rileva, a ben vedere, è l’identità degli effetti economico-finanziari delle due modalità operative suindicate, comportando entrambe, anche in ragione del computo degli interessi sul capitale residuo (anzichè su quello in scadenza), un valore della rata di ammortamento superiore rispetto a quello che si presenterebbe adottando il regime di capitalizzazione semplice.

La verifica dell’usura deve essere condotta con riferimento unitario agli interessi corrispettivi e di mora, senza il ricorso ad una “fantomatica” soglia usuraria specifica per gli interessi moratori, determinando il costo complessivo del finanziamento nel “worst case” (scenario più oneroso per il soggetto finanziato). Se tale costo eccede il limite previsto dalla legge 108/96 alla stipula del contratto, il finanziamento deve ritenersi a titolo gratuito in applicazione della sanzione ex art. 1815 c.c.

 


 

Di seguito alcuni passaggi della sentenza:

 

"la formazione della quota di interessi che compone ciascuna rata successiva alla prima nel piano di ammortamento alla francese predisposto in regime di capitalizzazione composta implica che il debito residuo per sorte capitale del periodo precedente (sul quale si calcolano gli interessi che compongono la rata successiva moltiplicando detto debito residuo per il cd. tasso periodale, ad esempio mensile) contiene, a sua volta, per costruzione, gli interessi maturati nei periodi precedenti, ovvero quelli da considerare giuridicamente “scaduti”; più precisamente, ogni quota interessi di ciascuna rata successiva alla prima risulta costituita dalla somma di due componenti: una determinata dalla maturazione degli interessi sul debito capitale residuo nel periodo di riferimento della medesima rata e l’altra prodotta dalla maturazione degli interessi sugli interessi relativi ai periodi precedenti (questi ultimi, in quanto tali, già pagati quali oggetto delle relative quote interessi delle rate pregresse di riferimento), ciò che costituisce conferma del fatto che il metodo di formazione degli interessi in un piano di ammortamento a rate costanti stilato in capitalizzazione composta implica, per costruzione, il fenomeno della capitalizzazione degli interessi e quindi anatocismo. Il debito residuo che risulta a seguito del pagamento delle varie rate, infatti, è composto da una quota parte di interesse già pagato, secondo quanto dianzi chiarito e, dunque, la quota interessi di pertinenza di ciascuna rata, anche se calcolata (in ipotesi in regime di capitalizzazione semplice) sul solo debito residuo, risulta di ammontare maggiore rispetto a quella che sarebbe dovuta in base all’utilizzo di un tasso di interessi pattuito in regime di capitalizzazione semplice ai fini della preventiva determinazione dell’ammontare delle rate di rimborso; e ciò, per l’appunto, in ragione di un debito residuo in tal modo illegittimamente incrementato. In altri termini, ogni debito residuo risultante dal pagamento delle rate già versate si ottiene sottraendo dal debito precedente (quale risultante dal pagamento della rata immediatamente anteriore) la quota capitale corrente (quella che compone la rata che si prende in considerazione), vale a dire sottraendo (contabilizzando) la rata ed aggiungendo (capitalizzando) la quota interessi. A ben vedere, l’indirizzo giurisprudenziale che trascura di considerare siffatta modalità di determinazione del debito residuo conseguente al pagamento delle rate precedenti si basa sull’erroneo presupposto secondo cui ad ogni pagamento periodico di una determinata rata si verifichi una sorta di chiusura della contabilità finanziaria del mutuo ed il successivo riavvio della stessa, senza attribuire alcuna rilevanza all’avvenuta capitalizzazione degli interessi. In realtà, come ha avuto modo di sottolineare il Supremo Collegio, nel mutuo convenuto con piano di rimborso rateale e quindi con obbligo restitutorio differito nel tempo (sotto il profilo esecutivo) “acquista il carattere di contratto di durata e le diverse rate in cui quel dovere è ripartito non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione”; di modo che “il beneficio del pagamento rateale è solo una modalità prevista per favorire il mutuatario attraverso l’assolvimento ripartito nel tempo della propria obbligazione, ma non ne consegue l’effetto di frazionare il debito in tante autonome obbligazioni”, decorrendo, non a caso, il termine di prescrizione ex art. 1957 c.c. non già dalla scadenza delle singole rate, “bensì dalla scadenza dell’ultima” (cfr. Cass. n. 2301/2004, conf. Id. n. 17798/2011).

L’affermazione contenuta nelle sentenze dianzi richiamate, secondo cui l’anatocismo risulterebbe escluso dal fatto che nel piano di ammortamento alla francese si pagherebbero gli interessi solo sul capitale ancora da restituire, restando preclusa la possibilità di calcolo degli interessi sulla componente di interessi, non tiene conto della considerazione per la quale il tasso applicato al debito residuo è funzione della quota capitale, che a sua volta dipende dal calcolo della rata costante, il cui importo, giova ribadire, è quantificato utilizzando il T.A.N. in regime di capitalizzazione composta (cfr., per analoghi rilievi, cfr. Trib. Milano, sentenza n. 5733/2014).

(...)

Ciò che soprattutto rileva è che risulta scorretta, sotto il profilo algebrico e finanziario, l’affermazione secondo cui nei piani di ammortamento alla francese, per quanto stilati in capitalizzazione composta nella determinazione delle rate, le quote interessi che compongono le varie rate sarebbero (necessariamente) calcolate in regime di capitalizzazione semplice (in quanto ottenute come prodotto tra il tasso periodale di interesse ed il debito relativo al periodo precedente), ciò che varrebbe ad escludere in radice la possibilità di produzione di interessi anatocistici. Tale affermazione, infatti, si attaglia soltanto all’ipotesi nella quale si abbia riguardo ad un tasso di interesse riferito ad un tempo unitario, ipotesi nella quale le funzioni del regime di capitalizzazione semplice e di quello di capitalizzazione composta coincidono; ed è proprio detta coincidenza tra tassi di interesse derivati dall’adozione dell’uno o dall’altro regime finanziario che - giova ribadire nel caso che venga prefigurato un tempo unitario - non consente di verificare in modo univoco se il calcolo degli interessi sia effettuato in base al regime della capitalizzazione semplice o a quello della capitalizzazione composta. Procedendo all’analisi escludendo la suddetta ipotesi del tempo unitario, è dato invece constatare che nell’ammortamento alla francese predisposto secondo le regole del regime della capitalizzazione composta anche le quote interessi delle singole rate sono necessariamente calcolate in base a tale regime e, per converso, in quello stilato secondo le regole della capitalizzazione semplice le quote interessi sono invece necessariamente calcolate, in termini attualizzate, in applicazione del regime di capitalizzazione semplice.     

(...)

 

non può che ribadirsi che, come già chiarito, la distinzione tra la metodologia di ammortamento alla francese e quella all’italiana, di per sé sola, non assume alcuna effettiva rilevanza rispetto al verificarsi o meno del fenomeno anatocistico, che non è prodotto dalla tipologia di ammortamento, conseguendo piuttosto dalla proprietà della scindibilità delle leggi finanziarie del regime della capitalizzazione composta adottato, di modo che anche un piano di ammortamento all’italiana, ove strutturato in base a tale ultimo regime finanziario, comporta analogamente la produzione di interessi anatocistici.

(...)

 

l’aderenza del piano di ammortamento alla francese al principio posto dall’art. 1194 c.c., in forza del quale i pagamenti vanno imputati prima al debito a (accessorio) per sorte interesse e dopo a quello (principale) per sorte capitale è, a ben vedere, soltanto parziale, atteso che, come già evidenziato, i pagamenti periodici, in base al medesimo piano, sono destinati ad estinguere contemporaneamente entrambe le obbligazioni, ciascuna per le quote (pre)stabilite nelle singole rate che si succedono, rate che sono composte, per l’appunto, sia da capitale che da interessi.  L’operatività del criterio di imputazione legale dell’art. 1194 c.c. (in particolare quello previsto dal comma 2, secondo cui “il pagamento fatto in conto di capitale e d'interessi deve essere imputato prima agli interessi”), peraltro, viene tradizionalmente circoscritta da consolidata giurisprudenza alle ipotesi di contemporanea sussistenza dei requisiti di liquidità e di esigibilità, sia del credito per capitale che di quello a titolo di interessi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 10941/2016, Id. n. 6022/2003, n. 20904/2005, n. 9510/2007 e n. 16448/2009); presupposto quest’ultimo che, per quanto chiarito, non è invece ravvisabile qualora il piano sia predisposto in regime di capitalizzazione composta (in virtù del quale, giova ribadire, la quota interessi di ciascuna rata deve essere pagata prima che giunga in scadenza il capitale di riferimento sul quale sono calcolati i medesimi interessi).  La disciplina posta dal citato art. 1194 c.c. è, nell’intenzione del Legislatore, per un verso norma di favore per il debitore, in quanto destinata ad assicurare allo stesso adeguata tutela sul presupposto che l’adempimento dell’obbligazione restitutoria del prestito venga regolato in sede convenzionale (ed in concreto attuato) nel rispetto del principio di proporzionalità (art. 821 c.c.) e del regime finanziario fondato sull’applicazione dell’interesse semplice, corrispondente al modello legale tipico prefigurato dal Codice Civile; regime, quest’ultimo, che, in chiave matematico-finanziaria, risponde alla regola dell’additività e che, in quanto tale, prevede che l’interesse sia sempre direttamente proporzionale al capitale iniziale ed al tempo. Lo stesso art. 1194 c.c., pertanto, è una disposizione la cui ratio giustificatrice (e, di conseguenza, la cui portata applicativa) non può che essere ricostruita alla luce di un criterio interpretativo sistematico in rapporto alla complessiva disciplina legale di riferimento, dalla quale emerge l’immanente esigenza, avvertita dal Legislatore, per l’appunto di salvaguardare, sotto tale profilo, la sfera giuridica del debitore dal rischio di un eccessivo e gravoso incremento della fruttuosità del denaro (pertanto limitata al solo capitale ed esclusa in relazione agli interessi corrispettivi). Per altro verso, anche il creditore risulta adeguatamente tutelato in modo specifico proprio dall’artt. 1194 c.c., sempre che, tuttavia, in virtù di un elementare principio di coerenza sistematica, venga adottato il regime di interesse semplice: dal momento che, applicando quest’ultimo regime, gli interessi rimangono improduttivi sino alla scadenza del capitale (al quale si cumuleranno soltanto al termine del rimborso, concorrendo in tal modo a determinare il totale dell’obbligazione gravante sul mutuatario), lo stesso creditore subirebbe un danno soltanto se con il pagamento effettuato dal debitore venisse estinto il capitale (che invece è destinato per sua natura a fruttare) prima degli interessi. E’ proprio in virtù di tale considerazione (e dell’evidenziata e bilanciata ratio protettiva sottesa alla complessiva disciplina in esame, retta da un meccanismo di checks and balances) che il citato art. 1194 c.c. prevede che il debito per sorte capitale può essere saldato soltanto dopo il pagamento degli interessi, salvo che il creditore presti il consenso ad invertire tale ordine legale. L’art. 1194 c.c., pertanto, si pone come norma di chiusura di un sistema fondato sulla netta distinzione – sia sotto il profilo contabile che giuridico – tra l’obbligazione avente ad oggetto il capitale e quella relativa agli interessi, distinzione non a caso costantemente ed opportunamente ribadita nella giurisprudenza della Suprema Corte; parte integrante di tale sistema (e rispetto ad esso del tutto coerente, integrandone un pilastro portante) è per l’appunto il principio per il quale gli interessi sono frutti e non si incorporano con il capitale fino al momento della domanda giudiziale o della convenzione posteriore alla loro scadenza (cfr. art. 1283 c.c.).
In virtù di tali principi, non pare quindi revocabile in dubbio che quanto disposto dall’art. 1194 c.c. risulta coerente con il sistema delineato dal Legislatore soltanto in ipotesi di simultanea ricorrenza di esigibilità e liquidità sia del capitale che degli interessi, secondo consolidata giurisprudenza della Corte regolatrice (cfr. Cass. n. 29729/2017, Id. n. 6022/2003, n. 16448/2009, n. 3359/2099, n. 20904/2005, n. 5707/1997),  situazione questa che si configura sicuramente a fronte di un piano di ammortamento del finanziamento elaborato secondo il regime dell’interesse semplice. Diversamente, come già chiarito, in un piano di rimborso graduale a rate costanti (o cd. alla francese) predisposto secondo il regime dell’interesse composto le quote interessi che compongono ciascuna rata sono calcolate (per quanto, in ipotesi, in forma semplice) sul debito residuo per sorte capitale (oggetto di obbligazione non ancora scaduta, in quanto destinata ad essere estinta gradualmente con il pagamento delle rate successive), di tal che l’anticipazione della scadenza, ovvero dell’esigibilità (e quindi del pagamento) di tali quote interessi restituisce sistematicamente un monte interessi complessivo che esprime comunque, quale che sia la partizione interna della rata prescelta (tra le ipotetiche infinite variabili possibili, tutte finanziariamente equivalenti), una spirale ascendente della crescita degli interessi in chiave esponenziale, corrispondente a quella che si verifica attraverso la produzione di interessi su interessi; ciò che comporta, in siffatto scenario, il sostanziale venir meno della differenza tra capitale ed interesse, contribuendo entrambe le relative obbligazioni a determinare, in ugual modo, il prezzo del finanziamento e risultando pertanto (l’uno come gli altri) proporzionali al montante maturato anziché al capitale finanziato.   

Sempre in tale contesto argomentativo, appare quindi oltremodo scorretto sotto il profilo giuridico argomentare la legittimità del piano di ammortamento alla francese (rectius, del ricorso al regime finanziario della capitalizzazione composta nel piano di rimborso graduale del finanziamento) con il laconico e semplicistico rilievo, contenuto in talune sentenze di merito, secondo cui esso risulterebbe conforme al principio posto dall’art. 1194 c.c. In realtà, non può confondersi la disciplina dell’imputazione dei pagamenti a fronte della compresenza del debito principale per sorte capitale e di quello accessorio relativo agli interessi (art. 1194 c.c.) con il criterio legale di produzione e di calcolo degli interessi (art. 1283 c.c.)."

Giudice Provenzano Domenico