sentenza

Tribunale di Pescara del 24 Giugno2013

Prescrizione – Rimesse solutorie - Onere probatorio rimesse solutorie in capo alla Banca – Azione di ripetizione

È onere della banca, che eccepisce l’intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione di indebiti versamenti in conto, dimostrare la natura solutoria delle rimesse intervenute in conto.

La giurisprudenza di merito, in materia di apertura di credito, ha affermato che l’istituto bancario, al fine di eccepire l’intervenuta prescrizione dell’azione di indebito, ha l’onere di fornire elementi probatori diretti a dimostrare che i relativi versamenti siano da considerare solutori, circostanza che deve essere eccepita e provata dalla banca convenuta in giudizio (Tribunale di Taranto, 28 giugno 2012; cfr. altresì Tribunale di Campobasso, 22.04.2012 e Tribunale di Novara, 01.10.2012 per il quale è onere della banca, che eccepisce l’intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione di indebiti versamenti in conto, dimostrare che tali versamenti siano intervenuti extra-fido).

L’azione di ripetizione può essere esercitata dal correntista solo con riferimento a pagamenti (rimesse solutorie) effettuate. Per un conto privo di versamenti solutori, la ripetizione dell’indebito presuppone la chiusura dello stesso.

Affinché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. La mera annotazione in conto di una determinata posta comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma non si risolve automaticamente in un pagamento, perché non vi corrisponde necessariamente una attività solutoria in favore della banca. 

Sin dal momento dell'annotazione, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Occorre pertanto aver riguardo - ha chiarito la Corte di Cassazione - alla natura ed al funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, che in conto corrente è regolata. Come si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l'apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli.

Se, pendente l'apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, pare indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non consentita, l'eventuale azione di ripetizione d'indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto. 

Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. 

Definizione di pagamento

Di pagamento potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto. Un versamento eseguito dai cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell'affidamento concesso dalla banca con l'apertura di credito non ha né lo scopo ne' l'effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto ne' esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell'affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà d'indebitamento del correntista; e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in un'indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi.

Giudice Chiara Serafini