sentenza

Tribunale di Reggio Emilia del 23 Aprile2014

Conto corrente – Anatocismo – Delibera CICR 9/02/00 – necessità di sottoscrizione della clausola anatocistica – CMS – nullità per assenza causa – nullità per indeterminatezza – giro conto – saldo finale – conto su altro rapporto non ne configura la chiusura – saldo zero – onere in capo all’attore – no principio vicinanza della prova

La pari periodicità di capitalizzazione consentita dalla Delibera CICR 9/02/00 deve essere oggetto di pattuizione espressa: in mancanza, come nel caso di specie, di prova della pattuizione del regime di capitalizzazione per gli interessi creditori, risulta nulla la capitalizzazione anche delle competenze debitorie.

Per quanto concerne la CMS, la cui natura risulta oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza, la clausola che ne pattuisce l’applicazione deve avere il requisito della determinatezza: non è sufficiente la mera indicazione di un’aliquota percentuale accompagnata dalla dizione “commissione di massimo scoperto”.

Il giroconto del saldo finale di un conto su un rapporto caratterizzato da numerazione diversa, qualora sia accompagnato dal mantenimento delle linee di credito in essere, non configura l’estinzione del primo rapporto ma solo il mutamento del suo numero identificativo.

L’onere della prova ricade sulla parte attrice. Se quindi è la Banca ad agire per il riconoscimento del proprio credito, deve provarne l’entità producendo gli estratti conto dall’inizio del rapporto: l’obbligo di conservazione delle scritture contabili limitato agli ultimi 10 anni non la solleva dall’onere della prova. In assenza di prova del saldo debitore iniziale, tale saldo deve essere annullato (Cass. nn. 9695/11, 1842/11, 23974/10). Se invece è il correntista a presentare azione di ripetizione, la ricostruzione dei rapporti deve essere circoscritta ai soli periodi per i quali viene prodotta la documentazione, senza poter muovere dal saldo zero. Non rileva ai fini di cui sopra l’invocazione da parte del correntista attore del principio di vicinanza alla prova, che è applicabile solo qualora – ma non è questo il caso – la ricostruzione degli oneri probatori sia dubbia.

 

E’ indubbio che, per quanto concerne il periodo precedente il 1 luglio 2000, non è possibile alcuna capitalizzazione degli interessi passivi, e ciò sulla base della ormai granitica giurisprudenza inaugurata dalla Corte di Cassazione nel 1999 e mai più disattesa nei 15 anni successivi.

Per quanto concerne invece gli interessi successivi al luglio 2000, il dato normativo consente la legittimità di una capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, ma solo a condizione che detta periodicità sia riconosciuta anche per gli interessi attivi (cfr. art. 25 co. 3 D. Lgs. 342/1999 di modifica dell’art. 120 D. Lgs. N. 385/1993, cd. TUB; Delibera del CICR 9.2.2000; Corte Cost. n.425/2000). Nel caso qui esaminato risulta pacificamente che nel contratto stipulato inter partes non è prevista una pattuizione che consenta la capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e pertanto deve ritenersi illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.

In ordine alla mancanza di una nozione unitaria di commissione di massimo scoperto, la giurisprudenza ha spesso ritenuto l’invalidità tout court dell’istituto in ragione della mancanza di causa (così Trib. Milano n. 4081/2011, Trib. Parma 23.3.2010, Trib. Torino 21.1.2010, Trib. Teramo 18.1.2010, Trib. Salerno 12.6.2009, Trib. Tortona 19.5.2008, Trib. Monza 7.4.2006 e 12.12.2005, Trib. Lecce 21.11.2005 e 11.2.2005, App. Milano 4.4.2003, Trib. Milano 4.7.2002).

Anche la parte della giurisprudenza, qui condivisa, che ha ammesso la teorica legittimità della clausola, in base all’inequivoco disposto dell’art. 117 TUB ha comunque ritenuto che la clausola stessa, per essere valida, debba rivestire i requisiti della determinatezza. (…) In sostanza, il termine commissione di massimo scoperto non è affatto riconducibile ad un’unica fattispecie giuridica, sicché l’onere di determinatezza della previsione contrattuale delle commissioni deve essere valutato con particolare rigore.

Ne consegue che non può ritenersi sufficientemente determinata (a differenza, ad esempio, di quanto avviene per la pattuizione del tasso di interessi ultralegali), la mera indicazione, così come nel caso che qui occupa, di un tasso percentuale accompagnato dalla dizione “commissione di massimo scoperto”.

Il conto numero 19541 è stato estinto il 12.8.1999 solo formalmente e non sostanzialmente, atteso che il correntista non ha mai ritirato le somme di denaro, in quanto contestualmente ed immediatamente girate su un diverso conto corrente della stessa banca e della stessa filiale e proseguendo con le linee di credito già concesse, ciò che comporta non già una vera e propria estinzione del conto, ma piuttosto un mero mutamento del numero identificativo di un medesimo rapporto contrattuale che prosegue.

Laddove sia la banca ad agire per il pagamento, la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione ex artt. 2220 c.c. e 119 TUB, in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore.

Nel diverso caso, coincidente con quello per cui è causa, in cui sia il correntista ad agire in ripetizione, l’applicazione dei sopra indicati principi generali sul riparto dell’onere della prova deve condurre a ritenere che la ricostruzione dei rapporti di dare/avere sia circoscritta al periodo in relazione al quale risultano prodotti gli estratti conto, senza potere muovere dal saldo zero.

Non può quindi essere accolta la tesi per la quale, sulla base del cosiddetto principio di vicinanza della prova, deve sempre e comunque farsi ricadere sulla banca l’onere della produzione degli estratti conto, indipendentemente dal fatto che sia presentata dalla banca stessa domanda di pagamento ovvero sia proposta dal correntista domanda di ripetizione.

Infatti, il principio di vicinanza della prova può e deve guidare l’interprete nei casi in cui la ricostruzione degli oneri probatori è oggettivamente dubbia, ma non può certo essere utilizzato per scardinare le regole generali poste dall’art. 1697 c.c., così come invece accadrebbe nel caso che qui occupa.

 

Giudice Gianluigi Morlini