Tribunale di Roma del 10 Novembre2014
Il Regolamento Consob 11522/1998, pur sancendo l’obbligo degli intermediari finanziari autorizzati, di astenersi dall’effettuare, con o per conto degli investitori, operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione al profilo dell’investitore, non vietava in modo assoluto le operazioni inadeguate, quando le stesse erano acconsentite dall’investitore, che previamente informato prestava il suo consenso alla procedura di acquisto.
A seguito dell’emanazione della direttiva MIFID (direttiva 2004/39/CE) è stato abrogato il previgente Regolamento del ’98 ed approvato il nuovo Regolamento Consob 16190 del 29 ottobre 2007 che prevede espressamente che “gli intermediari finanziari forniscono ai clienti o potenziali clienti una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari trattati, tenendo conto della classificazione del cliente come cliente al dettaglio o cliente professionale. La descrizione illustra le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi di tale tipo di strumento, in modo sufficientemente dettagliato da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate”; inoltre gli obblighi informativi si distinguono in relazione rapporti contrattuali intercorrenti tra clienti e banca, a seconda che si tratti di consulenza o servizi di gestione del portafoglio da un lato e altre tipologie individuate in modo residuale dall’altro.
In particolare nei servizi di consulenza in materia di investimenti e gestione dei portafogli, la banca deve compiere una vera e propria valutazione di adeguatezza, che ha ad oggetto la specifica operazione al fine di accertare che la stessa sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento. Ne consegue che non risulta più sufficiente ai fini dell’adempimento dell’obbligo informativo da parte del mediatore, la sola predisposizione di un modello prestampato sottoscritto dal cliente stesso in cui veniva attestata genericamente l’inadeguatezza dell’investimento.
Nei giudizi risarcitori relativi a danni provocati ai clienti connessi allo svolgimento dei servizi di investimento o accessori (quali quelli di natura informativa) spetta all’intermediario finanziario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta ovvero fornire una prova positiva e puntuale di aver adempiuto effettivamente alle specifiche obbligazioni con la diligenza richiesta nei confronti del risparmiatore; infatti il Giudice romano sostiene che la sottoscrizione da parte del cliente di un modello informativo attestante in modo generico i rischi o l’inadeguatezza dell’operazione non è sufficiente per invertire l’onere della prova.
La Suprema Corte con la pronuncia n. 17726 del 6 agosto 2014 si è spinta oltre, affermando che la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di prodotti finanziari e formulata in modo riassuntive generico, nella quale egli affermi di aver ricevuto un’informazione completa sulle caratteristiche sui rischi dei medesimi prodotti, non può essere considerata una confessione stragiudiziale, a norma dell’articolo 2735 c.c., perché rivolta alla formulazione di un giudizio (sull’adempimento dell’obbligazione della controparte) e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo, ed intrinsecamente inidonea ad accertare quali concrete informazioni siano state fornite al cliente in ordine allo specifico prodotto finanziario; ne consegue che, in tal caso, l’ordine del cliente di volere “comunque dare corso all’operazione”, a norma dell’articolo 29, comma 3, del regolamento Consob n. 11522 del 1998, benché impartito o registrato per iscritto, non vale ad esonerare da responsabilità la banca che non abbia offerto prova rigorosa di avere adempiuto agli obblighi informativi inerenti anche alle ragioni della ritenuta inadeguatezza dell’operazione.
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